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Come funziona il time sheet?
Oltre, o in alternativa, al sistema della separazione contabile per aree di attività, il professionista può misurare in modo più attento la redditività dello studio adottando il time sheet, che costituisce la base di un efficace controllo di gestione.
Il principio su cui si basa il sistema extracontabile del time sheet è che il professionista vende tempo.
Un sistema di time sheet – impostato nel gestionale di studio o in un modello Excel – sarà tanto più efficace quanto più sarà in grado di rilevare tutti i tempi lavorati in studio: quelli dedicati alla gestione delle pratiche e quelli dedicati al lavoro “non fatturabile”.
Le ore nel time sheet si possono distinguere in:
- necessarie (che corrispondono alla capacità produttiva dello studio);
- vendibili al cliente (che possono essere attribuite a ogni area di attività – asa – oppure, scendendo nell’analisi, alle singole pratiche dello studio);
- non vendibili (dedicate alla gestione dell’attività di studio: la contabilità e la fatturazione, la gestione dei preventivi e dei crediti sospesi; ma anche la partecipazione a corsi, seminari, convegni; le riunioni di studio con i collaboratori, il marketing, ecc.).
Se il professionista decide di rilevare nel time sheet solamente i tempi dedicati a ogni progetto o a ogni asa – per semplicità di gestione o perché è ciò che gli interessa approfondire –, potrà confrontare il compenso applicato, il compenso obiettivo e il compenso effettivo per ogni progetto o per ogni area.
Il compenso applicato è il compenso concordato con il cliente e che quindi verrà fatturato; il compenso effettivo è il compenso dato dalla tariffa oraria dello studio (determinata in base ai costi dello studio e alle aspettative di margine del professionista) per il numero di ore effettivamente dedicate al progetto o all’asa; il compenso obiettivo è dato dalla tariffa oraria dello studio per il numero di ore obiettivo o standard, cioè le ore che il professionista aveva previsto di dedicare.
Quest’analisi è utile agli studi professionali che possono suddividere l’attività in asa ben definite. Ad esempio: progetto α, collaborazione β, area di consulenza continuativa per clienti fidelizzati, area di docenza.
Per i professionisti che, invece, svolgono pratiche continuative per gli stessi clienti (ad esempio lo studio del commercialista), è utile tenere il time sheet secondo questi principi:
- il professionista e ogni collaboratore devono rilevare sistematicamente e con metodo i tempi per qualsiasi cosa (pratiche e lavoro non fatturabile);
- a ogni pratica è necessario dare un’attribuzione specifica (assegnare un numero o un nome);
- ogni pratica è associata a un cliente;
- per ogni pratica viene definita la tipologia delle attività (solitamente catalogate per classi);
- la tipologia di attività è l’unità di misura.
Il professionista, prima di dar avvio al time sheet dello studio, deve compilare un elenco (lungo al massimo un paio di pagine) dei tipi di attività e di pratiche, affinché sia chiaro a tutto il personale che per ogni cliente si deve aprire una pratica, e per ogni pratica si deve scegliere la tipologia di attività da svolgere.
Volendo raffinare il sistema di time sheet, “il lavoro non fatturabile”, anziché costituire un’unica area di imputazione di dati, può essere ripartito per classi: attività di marketing dello studio, aggiornamento professionale, organizzazione e gestione dello studio, riunioni di lavoro con collaboratori e associati, gestione della contabilità e della parcellazione con i relativi sospesi.
Nel time sheet si dettagliano maggiormente le categorie di pratiche e le tipologie di attività solo se ciò è coerente con il tipo di analisi che si vuole ottenere. Si semplifica invece il sistema quando si necessita di meno informazioni.
In tutti i casi, l’analisi dei dati dipende dalla bontà delle rilevazioni e dalla metodicità e sistematicità con cui vengono imputate a sistema.
Quale è l’importanza di una pianificazione per obiettivi?
Per avere il controllo sulla redditività, e quindi conoscere meglio l’andamento del proprio studio, i professionisti devono adottare strumenti operativi in grado di fornire loro nuove e maggiori informazioni. Per avere una visione ampia del proprio lavoro nel tempo, i professionisti dovrebbero anche interessarsi alla strategia dello studio: individuare obiettivi chiari da raggiungere.
È importante gestire lo studio professionale secondo uno schema strutturato e ordinato, adottando, nella pratica quotidiana, questa sequenza di pianificazione e programmazione dell’attività:
- misurare, bene e con strumenti appropriati, i dati e i numeri dello studio;
- analizzare le informazioni – gli output degli strumenti adottati – per prendere consapevolezza dei punti di forza e di debolezza del proprio studio;
- individuare nuovi obiettivi sulla base delle informazioni analizzate e decidere le azioni (pratiche) per conseguirli;
- comunicare al team ciò che è stato deciso, per fare ciò che si è deciso;
- controllare ciò che si sta facendo e ciò che si è fatto, mettendo in atto eventuali azioni per il miglioramento continuo dei processi di lavoro, che devono essere indirizzati a raggiungere gli obiettivi pianificati.
Il miglioramento continuo dello studio non è inteso in senso romantico, ma è un metodo di gestione: il dato va misurato, poi controllato e, in base alle corrette informazioni analizzate, vanno impostati obiettivi e azioni concrete fra loro allineati.
La pianificazione dell’attività appartiene a un professionista che non lavora più “a testa bassa”, ma dispone delle informazioni giuste al momento giusto per decidere sulla propria attività, non in modo intuitivo. Il professionista non può più gestire lo studio “a vista, seppure con esperienza”, perché quando le situazioni cambiano deve essere capace di capire chi è e dove sta andando, senza paura di far emergere le criticità della propria attività professionale: sono presenti in ogni organizzazione, vanno perciò verificate e affrontate.
Perché è necessario fare rete?
Il professionista sa che la propria capacità reddituale è proporzionale alla capacità di risolvere i problemi del cliente e che questa abilità è strettamente connessa alle sue conoscenze, alle sue esperienze specifiche e alla volontà di fare network con altri colleghi. La conoscenza tende a calare progressivamente se non si studia: ogni giorno, quindi, bisogna fare di più (studiare di più) con meno (risorse). E per rendere ciò più agevole, è innegabile che i professionisti debbano fare sistema: coordinarsi per iniziative comuni, confrontarsi per collaborare.
Pordenone, 3 novembre 2016 Alessia Salmaso
Relazione di Alessia Salmaso al workshop Apco "Strumenti per la gestione dell'attività professionale", tenutosi a Udine il 3 ottobre 2016.
www.studiosalmaso.com
Perché essere professionista?
Il mondo del lavoro è sempre più caratterizzato da rapporti di tipo consulenziale: da un lato, l’azienda oggi è focalizzata sui risultati e, dall’altro, molti lavori dipendenti sono sempre più alienanti o senza futuro. Il lavoro in proprio lascia intravvedere possibilità e prospettive più interessanti, quanto meno dal punto di vista della realizzazione personale.
Chi può essere considerato un professionista?
Esistono due sistemi aggregativi: quello dei professionisti iscritti a Ordini o Albi e quello dei professionisti non ordinistici, che comprende attività di consulenza – molto richieste dalle imprese – a elevato contenuto di innovazione. Questi sistemi sono entrambi fondamentali per il Paese. Superate le vecchie e anacronistiche contrapposizioni, la legge 4 del 2013 ha fatto chiarezza, riconoscendo che è attività professionale la prestazione di servizi esercitata mediante lavoro intellettuale da soggetti non iscritti ad Albi o Ordini.
Che cosa è richiesto oggi a un professionista?
Siamo dunque tutti professionisti, iscritti all’Ordine oppure no, e tutti dobbiamo dar prova di saper guardare al futuro, conoscendoci meglio dentro.
Per analizzare in modo approfondito i punti di forza e la redditività del proprio studio, il professionista deve integrare le competenze specialistiche con nozioni di gestione e di visione strategica. Queste competenze – applicate nelle aziende da commercialisti e consulenti di direzione – finora non hanno fatto parte del bagaglio di conoscenze di molti professionisti, ordinistici in particolare. Il contesto economico però è cambiato, sia per le aziende che per i professionisti: qualcuno dice che non siamo in crisi ma in un mondo nuovo.
Perché è importante controllare la redditività di uno studio professionale?
Misurare e controllare (prima si misura e poi si controlla) è indispensabile per conoscere, da più punti di vista, la gestione dell’attività che si sta svolgendo. Sono necessarie informazioni corrette per prendere decisioni sulla gestione dello studio in modo consapevole e accurato.
Come si misura la redditività?
La norma fiscale distingue le attività economiche in due categorie: l’attività d’impresa e quella di lavoro autonomo. Tutti i professionisti sono lavoratori autonomi che, se esercitano un lavoro intellettuale abitualmente e prevalentemente, devono dotarsi di partita Iva ed entrare in un uno dei regimi contabili previsti dalla norma fiscale: forfettario, dei minimi, semplificato, oppure ordinario.
L’obiettivo di ogni regime contabile-fiscale è costruire un conto economico annuale e determinare l’utile su cui calcolare le imposte.
Tutti i lavoratori autonomi determinano il reddito annuale secondo il “principio di cassa”, in base al quale i ricavi sono tassati solo se incassati nell’anno e i costi si possono dedurre dal reddito solo se sono stati pagati nel periodo.
La redditività di uno studio, quindi, si misura principalmente nel conto economico, dove la differenza tra i ricavi incassati e i costi pagati rappresenta la redditività conseguita.
In periodi di crisi (di poco lavoro, o quando i clienti non rispettano i termini di pagamento), è opportuno che il professionista ragioni non soltanto sul bilancio per cassa ma anche sul bilancio per competenza, soprattutto in riferimento alla componente dei ricavi. Si dovrebbero confrontare i ricavi incassati in un anno ̶ relativi alle prestazioni effettuate ̶ con i ricavi maturati nell’anno (di competenza, appunto) anche se non incassati.
Per misurare e controllare la redditività da più punti di osservazione e secondo diversi livelli di dettaglio, gli studi professionali possono dotarsi di strumenti contabili più sofisticati rispetto a quelli previsti dalla norma fiscale, andando oltre la determinazione del conto economico annuale, per cassa o per competenza.
Ad esempio, il professionista può impostare – con modelli in Excel o utilizzando moduli software di gestione dello studio – un sistema di separazione contabile che consente l’analisi mirata della redditività per aree di attività. Un sistema di questo tipo intreccia i principi contabili generali con alcuni concetti di contabilità analitica (finalizzata al controllo di gestione) per fornire un quadro informativo più completo su costi, compensi e marginalità per aree di attività.
Nella contabilità generale, le scritture contabili devono essere redatte in modo veritiero e corretto e devono portare alla determinazione del conto economico che evidenzia la redditività dello studio; la contabilità analitica, invece, è una materia regolamentata dalla dottrina economica che prevede una certa discrezionalità nella scelta dei criteri per la misurazione delle prestazioni.
Come funziona il sistema contabile per aree di attività?
Lo studio viene suddiviso in aree: ognuna va considerata contabilmente come se fosse un singolo studio, generando tanti conti economici quante sono le aree dello studio. Le aree di attività, o aree strategiche di affari (asa), sono dei sottoinsiemi dello studio coincidenti con business specifici. Per un commercialista le aree di studio potrebbero essere la contabilità, i bilanci, le dichiarazioni dei redditi, gli adempimenti fiscali, la consulenza, il contenzioso fiscale, i collegi sindacali e le revisioni contabili; per un consulente di direzione e organizzazione, le aree potrebbero corrispondere ai diversi progetti, collaborazioni, all’attività di docenza o alla consulenza continuativa con i clienti fidelizzati.
Per costruire un conto economico per ogni area di attività (asa) dello studio si parte dalla componente dei compensi. I compensi possono essere rilevati contabilmente in modo separato, per ogni asa.
Il secondo passo consiste nell’imputare i costi a ogni asa. I costi possono essere di due tipi: speciali e comuni.
I costi speciali vengono imputati in modo diretto all’asa, perché sostenuti esclusivamente per questa. Per portare qualche esempio: è un costo speciale per l’asa “contabilità” dello studio di un commercialista la retribuzione lorda del personale dedicato esclusivamente alla tenuta della contabilità dei clienti; è un costo speciale per l’asa “progetto A” di uno studio di consulenza di direzione il compenso erogato al collaboratore o al collega che ha contributo allo svolgimento e allo sviluppo del progetto.
I costi comuni, essendo appunto comuni a più asa, vengono imputati a ciascuna di esse in modo mediato. Solitamente sono i costi di struttura (canoni di locazione dello studio, leasing di beni strumentali, ammortamenti), le spese generali (utenze, spese telefoniche, spese di cancelleria, premi di assicurazione relativi allo svolgimento della professione o alla struttura dello studio, spese per la partecipazione a corsi e convegni e per la formazione) e altri costi come la retribuzione del personale o dei collaborati che dedicano il loro lavoro a più asa.
I costi comuni vengono imputati alle diverse aree di attività dello studio attraverso i criteri di riparto che la dottrina economica ci ha insegnato: criteri tecnici e criteri legati ai risultati. La dottrina ribadisce in più occasioni che non vi è un criterio migliore di altri per ripartire i costi comuni, ma la scelta dipende dalle peculiarità dell’attività economica dello studio, dai risultati che si vogliono ottenere con l’elaborazione e l’analisi, e soprattutto dalle informazioni di cui si dispone.
Un esempio di criterio tecnico (di ribaltamento dei costi comuni alle diverse asa) è la ripartizione proporzionale dei costi per asa in base alle ore di lavoro rilevate per ciascuna – se di questi dati lo studio è in possesso perché tiene un time sheet in modo sistematico.
Come si legge il risultato economico?
Il risultato economico (reddito o perdita) di ogni asa sarà pari alla differenza tra i compensi dell’asa e i suoi costi: quelli speciali e la quota imputata di quelli comuni.
I risultati reddituali di ogni asa – sommati algebricamente – formano il reddito complessivo annuo conseguito dallo studio professionale.
Quest’analisi è importante perché indica quali aree partecipano maggiormente alla redditività complessiva dello studio e quali sono invece a basso valore aggiunto o in perdita. Avendo a disposizione queste informazioni supplementari, il professionista potrà decidere di attribuire maggiori risorse e tempo alle aree con utilità marginali maggiori e ridimensionare o addirittura abbandonare le asa a bassa redditività, se considerate non strategiche.
Pordenone, 3 novembre 2016 Alessia Salmaso
Relazione di Alessia Salmaso al workshop Apco "Strumenti per la gestione dell'attività professionale", tenutosi a Udine il 3 ottobre 2016.
www.studiosalmaso.com