Stampa

Progresso o Civiltà? Il cambiamento nella vita sociale e nel lavoro

da Carlo Baldassi
Visite: 3984
I due termini non sono sinonimi anche se ovviamente non sono ‘tecnicamente’ contrari. Anzi, tutti auspicheremmo che i due termini esprimessero una sinergia. Diciamo salomonicamente una cooperazione ai fini di bene comune.

Tuttavia va chiarito che non sempre è - o può non essere - così. La storia dimostra che esiste una gerarchia dei valori e dei significati: questo affida ai due termini/concetti un peso differente e il primato va (dovrebbe andare) alla Civiltà.

Nelle società umane la Civiltà è intesa come ‘complesso delle strutture sociali, economiche e culturali di una società in un determinato periodo storico’. (Zingarelli). Potremmo dire che, poiché l’essere umano è un animale sociale (a volte –ahimè- prevalentemente per interesse/sopravvivenza), la Civiltà consiste nella bontà delle relazioni (basta homo homini lupus) e nei conseguenti risultati culturali e organizzativi ottenuti nel rispetto dell’ambiente esterno (environment).

Questi risultati si possono misurare con vari indicatori a seconda dei tempi e dei luoghi ma si evidenziano tramite concetti quali rispetto, armonia e ‘ben-essere’ olistico.  Concetti e riflessioni da sempre al centro del pensiero umano: in occidente dai filosofi ateniesi  alla gerarchia dei bisogni di A.Maslow, ma soprattutto in oriente, dal buddismo al senso del dovere confuciano.

Questi concetti si sono manifestati spesso con modalità e realizzazioni straordinarie: pensiamo al Rinascimento italiano e ai paesaggi  dei nostri borghi o pensiamo alla cultura ambientale giapponese. Esempi di armonia.

Naturalmente le Civiltà si fondano anche sul Progresso (come dice la parola, è il progredire verso un obiettivo migliore): ad es. la medicina o le tecnologie di Internet servono anche nei villaggi asiatici o africani.

Dal Rinascimento europeo sono nati l’astronomia e l’Illuminismo, le tecnologie e i Diritti dell’Uomo (ahimè anche con qualche deviazione..)

Dunque il Progresso è fatto di innovazioni, di esperienze anche conflittuali, di legislazioni e di sviluppo economico che migliorano la salute, la convivenza e la stessa Civiltà.

Tuttavia il Progresso non è astorico, ha bisogno di determinate condizioni per svilupparsi e non è neutrale. Esso può farci vivere 100 anni ma anche essere utilizzato per compiere stragi con processi ‘industriali’ come fece il nazismo o per costruire la bomba atomica.

Il Progresso può aiutarci a conservare i beni culturali e a nutrirci (frutto delle Civiltà) ma anche -se sgovernato - a inquinare o distruggere terra fertile (questo è uno dei temi dell’EXPO sul cibo e l’ambiente di Milano 2015).

2
Il Progresso nei sistemi finanziari può significare investimenti utili nel lungo periodo (es. nella ricerca farmacologica o nella logistica) oppure come operazioni a breve termine (es. il settore immobiliare prima del 2008 o gli shale oils negli USA oggi) che possono generare nuove bolle speculative che si trasformano in fallimenti di banche e debiti pubblici (ricordiamo che oggi la ricchezza finanziaria nel mondo assomma a circa 10 volte la ricchezza dell’economia reale!).

Dunque attenzione al ‘tecnicismo’ ed anche alle ‘distruzioni creative’: nel mondo globale, con 9 miliardi di attori, gli equilibri sono mutevoli e fragili … e la turboeconomia ha dimostrato  molto Progresso ma spesso poca Civiltà.

Ma nelle organizzazioni umane e nel lavoro?

L’introduzione (ovviamente solo per cenni) che abbiamo tentato ci serviva per entrare nel tema di nostra competenza: l’organizzazione del lavoro e il rapporto tra conquiste di Civiltà e Progresso organizzativo e tecnologico.

Insomma le aziende e il loro contesto.

Le aziende (ogni organizzazione umana) sono intese come ‘sistemi aperti’, in rapporto osmotico con il contesto esterno.

Così quando si parla di Responsabilità Sociale delle Imprese e di Sostenibilità dello sviluppo economico s’intende un rapporto positivo tra Civiltà e Progresso, tra l’azienda e il suo contesto esterno, ambientale e sociopolitico.

Dunque questo rapporto si può intendere come ricerca di relazioni utili e ‘armoniche’, che comprende anche il necessario confronto non distruttivo. Così valorizzare le competenze e la creatività dei lavoratori per affrontare i nuovi paradigmi globali, significa capire, motivare e gratificare i singoli e i loro gruppi di lavoro, ottimizzando costi/tempi e risultati economici e sociali.

Oggi (interpellateli e vedrete) un datore di lavoro si attende da ogni collaboratore non solo aderenza alle indicazioni aziendali ma anche quel quid ‘nascosto’ di capacità/intelligenza che va oltre gli aspetti strettamente contrattuali: ad es. la prontezza e creatività del front line di fronte alle lamentele di un cliente o le capacità di un risk manager durante un evento negativo. Rispettando etica e regole del gioco.

Per ottenere questi risultati occorrono dunque approcci culturali coinvolgenti, modalità organizzative adeguate e una leadership partecipativa e lungimirante.

Certamente una precarietà costante (diciamo all’americana..) non aiuta il commitment dei lavoratori nè genera stabili processi di qualità (il mestiere). Inoltre va coltivato il riconoscimento sia dei team che ad personam (ci sono molte modalità anche extramonetarie come il nuovo welfare aggiuntivo a quello pubblico) perché ogni mansione –anche operaia- è sempre più ‘intelligente’.

Dunque ogni processo razionale di change management deve partire dalla persone, deve essere ‘you focused’ .

3
Ovviamente questo processo deve utilizzare strumenti e modalità manageriali adeguati alla situazione.  Perciò nei nostri interventi consulenziali ricordiamo due questioni parallele:

a) l’importanza strategica di un sistema organizzativo adeguato e di flussi operativi mirati (adhoccrazia) -‘L’organizzazione serve alle persone normali per compiere azioni eccellenti’. (T.Leavitt)

b) ma anche che l’organizzazione è quasi mai neutrale o ’astorica’, come dimostra l’evoluzione del pensiero manageriale da H.Ford al moderno lavoro autoimprenditivo. Il confronto (di idee e di interessi) è inevitabile.

Ma allora qual’è la priorità anche nel lavoro? Civiltà o Progresso?

Ancora una volta, evidentemente, Civiltà. Cioè capacità di progettare risultati a lungo termine.

Lo diciamo da consulenti di management: senza un approccio ‘umanistico’ ai processi le organizzazioni moderne – profit o non profit- non durano a lungo o non funzionano. Poichè oggi la complessità dei fattori competitivi genera incertezza costante ed il cambiamento è continuo occorre partire dalle persone, dai loro valori e talenti ed anche dai loro timori.

Pensiamo all’inserimento di una nuova linea produttiva o ad un nuovo software in fabbrica: se agli addetti non vengono illustrati i vantaggi e non c’è assistenza, i risultati attesi non arrivano. Oppure pensiamo ai team interculturali e internazionali (ad es. un gruppo di esperti che lavora ad un nuovo progetto di automotive o ad un nuovo farmaco) dove si devono affrontare aspetti professionali e culture differenti.

Se l’azienda è un ‘tempio del valore’ allora il management deve costruire e sviluppare le modalità specifiche di offerta di valore per un determinato mercato in un determinato momento.

Dunque leadership ‘umanistica’: basterebbe citare alcune esperienze aziendali di grande significato: dalle cooperative operaie del ‘900 alla ‘fabbrica a misura di uomo’ di Adriano Olivetti,  dalla Microsoft all’artigianato diffuso di Cucinelli in Umbria.

Gestire il cambiamento pensando alla Civiltà

La knowledge society deve essere incentrata sul concetto di persona colta. Deve essere un concetto universale proprio perché la knowledge society è una società di conoscenze, e perché è globale in materia di denaro, economia, carriere, tecnologia, di questioni di fondo e soprattutto in materia di informazione. La società post capitalistica ha bisogno di una forza unificante. Richiede un gruppo leader capace di focalizzare le tradizioni locali, particolaristiche, separate, su un impegno comune e condiviso verso valori, su un concetto di eccellenza comune e sul rispetto reciproco..La knowledge society ha bisogno di ..una persona con una cultura universale.

(P.Drucker - La società postcapitalistica 1993)

Il management riguarda gli esseri umani. Il suo compito è di far lavorare insieme le persone, di fare in modo che i loro punti di forza siano efficaci e i loro punti deboli irrilevanti. Questo è il compito dell’organizzazione ed è la ragione per cui il management è il fattore critico, determinante…Ogni impresa richiede commitment verso obiettivi comuni e valori condivisi. Senza questo commitment non esiste impresa, ma solo un’accozzaglia di persone.

(P.Drucker -  Il management, l’individuo e la società-2001)

4
Ci sembra che queste considerazioni di P.Drucker sintetizzino bene ciò che intendiamo: nella moderna società della conoscenza la gestione e delle organizzazioni e del loro evolversi , deve partire dalla cultura e dal rispetto. Cioè da una visione a lungo termine. La Civiltà.

In questa visione le persone hanno un ruolo centrale.

Ad es.  nei programmi di change management (dove ogni attore è di fronte a sfide inusitate) ricordava recentemente McKinsey che ‘Organizations don’t change. People do’. Noi consulenti di direzione lo sappiamo bene (anche se non sempre dimostrano di saperlo certi capi di azienda..).

Il leader nei processi di cambiamento deve indicare gli obiettivi e supportare gli attori del gruppo (knowledge management e mentoring) ma deve anche ricordare che non sempre i capi hanno ragione e che certe resistenze ‘positive’ possono essere motivate e vanno comprese.

L’economia dello ‘short term’ ha fatto già molti danni e dunque riflettere va sempre bene. Per questo ci sono tecniche di verifica preventiva delle imminenti decisioni: ad es. D.Kahneman (psicologo Nobel dell’economia)  ne ha riassunte alcune nel suo ‘Pensieri lenti e veloci’ invitandoci alla cautela.

Inoltre innovazione non è nuovismo a tutti i costi e occorre che il cambiamento sia percepito come utile e socialmente accettabile. (1)

Infatti a dispetto di tante roboanti ‘novità’ molti bisogni essenziali restano ancora disattesi o trascurati anche nel ricco occidente: dalla salute negli ambienti domestici e di lavoro alle soluzioni ecosostenibili nei prodotti e nelle infrastrutture, dai tempi angoscianti del lavoro moderno alla ‘liquidità’ dei rapporti sociali che generano anomie spesso drammatiche.

Dunque occorre pensare alla Civiltà.

Poi naturalmente senza le giuste ‘armi’ e le corrette modalità organizzative le persone non possono lavorare bene né progredire: ad es. i sistemi di project management si basano sulle capacità di ottimizzare i tre fattori chiave di obiettivi/risorse/tempo utilizzando tecnologie, criteri e indicatori di misurazione ad hoc. Ma tenendo sempre conto del polimorfismo organizzativo possibile e dei contesti specifici.

***

In  sintesi: il primato della Civiltà/Società –qui intesa come attività e innovazione d’impresa - si basa sul capitale intellettuale (intangible assets) composto da capitale umano, capitale organizzativo e capitale relazionale. Si basa su una Leadership coinvolgente, responsabilizzante e ‘visionaria’ ma sempre realistica. E soprattutto su una logica di lungo termine dove il cambiamento deve avere un senso.

Il Progresso – inteso come capacità organizzativa e tecnologica di migliorare- fornisce gli indispensabili strumenti operativi ma sempre in una logica di management ‘umanistico’. Dunque al servizio di una missione e di valori condivisi.

Carlo Baldassi consulente di management certificato APCO - Udine http://www.baldassi.it

1)      v. i nostri contributi sul change management e sulla leadership sul nostro sito web e vedi anche I Ferri del mestiere di C. Baldassi - 2013