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REDDITIVITÀ DEGLI STUDI PROFESSIONALI: ECCO COME TENERLA SOTTO CONTROLLO

da Alessia Salmaso
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Perché essere professionista?
Il mondo del lavoro è sempre più caratterizzato da rapporti di tipo consulenziale: da un lato, l’azienda oggi è focalizzata sui risultati e, dall’altro, molti lavori dipendenti sono sempre più alienanti o senza futuro. Il lavoro in proprio lascia intravvedere possibilità e prospettive più interessanti, quanto meno dal punto di vista della realizzazione personale.

Chi può essere considerato un professionista?
Esistono due sistemi aggregativi: quello dei professionisti iscritti a Ordini o Albi e quello dei professionisti non ordinistici, che comprende attività di consulenza – molto richieste dalle imprese – a elevato contenuto di innovazione. Questi sistemi sono entrambi fondamentali per il Paese. Superate le vecchie e anacronistiche contrapposizioni, la legge 4 del 2013 ha fatto chiarezza, riconoscendo che è attività professionale la prestazione di servizi esercitata mediante lavoro intellettuale da soggetti non iscritti ad Albi o Ordini.

Che cosa è richiesto oggi a un professionista?
Siamo dunque tutti professionisti, iscritti all’Ordine oppure no, e tutti dobbiamo dar prova di saper guardare al futuro, conoscendoci meglio dentro.

Per analizzare in modo approfondito i punti di forza e la redditività del proprio studio, il professionista deve integrare le competenze specialistiche con nozioni di gestione e di visione strategica. Queste competenze – applicate nelle aziende da commercialisti e consulenti di direzione – finora non hanno fatto parte del bagaglio di conoscenze di molti professionisti, ordinistici in particolare. Il contesto economico però è cambiato, sia per le aziende che per i professionisti: qualcuno dice che non siamo in crisi ma in un mondo nuovo.

Perché è importante controllare la redditività di uno studio professionale?
Misurare e controllare (prima si misura e poi si controlla) è indispensabile per conoscere, da più punti di vista, la gestione dell’attività che si sta svolgendo. Sono necessarie informazioni corrette per prendere decisioni sulla gestione dello studio in modo consapevole e accurato.

Come si misura la redditività?
La norma fiscale distingue le attività economiche in due categorie: l’attività d’impresa e quella di lavoro autonomo. Tutti i professionisti sono lavoratori autonomi che, se esercitano un lavoro intellettuale abitualmente e prevalentemente, devono dotarsi di partita Iva ed entrare in un uno dei regimi contabili previsti dalla norma fiscale: forfettario, dei minimi, semplificato, oppure ordinario.
L’obiettivo di ogni regime contabile-fiscale è costruire un conto economico annuale e determinare l’utile su cui calcolare le imposte.
Tutti i lavoratori autonomi determinano il reddito annuale secondo il “principio di cassa”, in base al quale i ricavi sono tassati solo se incassati nell’anno e i costi si possono dedurre dal reddito solo se sono stati pagati nel periodo.
La redditività di uno studio, quindi, si misura principalmente nel conto economico, dove la differenza tra i ricavi incassati e i costi pagati rappresenta la redditività conseguita.

In periodi di crisi (di poco lavoro, o quando i clienti non rispettano i termini di pagamento), è opportuno che il professionista ragioni non soltanto sul bilancio per cassa ma anche sul bilancio per competenza, soprattutto in riferimento alla componente dei ricavi. Si dovrebbero confrontare i ricavi incassati in un anno ̶ relativi alle prestazioni effettuate  ̶ con i ricavi maturati nell’anno (di competenza, appunto) anche se non incassati.

Per misurare e controllare la redditività da più punti di osservazione e secondo diversi livelli di dettaglio, gli studi professionali possono dotarsi di strumenti contabili più sofisticati rispetto a quelli previsti dalla norma fiscale, andando oltre la determinazione del conto economico annuale, per cassa o per competenza.

Ad esempio, il professionista può impostare – con modelli in Excel o utilizzando moduli software di gestione dello studio – un sistema di separazione contabile che consente l’analisi mirata della redditività per aree di attività. Un sistema di questo tipo intreccia i principi contabili generali con alcuni concetti di contabilità analitica (finalizzata al controllo di gestione) per fornire un quadro informativo più completo su costi, compensi e marginalità per aree di attività.

Nella contabilità generale, le scritture contabili devono essere redatte in modo veritiero e corretto e devono portare alla determinazione del conto economico che evidenzia la redditività dello studio; la contabilità analitica, invece, è una materia regolamentata dalla dottrina economica che prevede una certa discrezionalità nella scelta dei criteri per la misurazione delle prestazioni.

Come funziona il sistema contabile per aree di attività?
Lo studio viene suddiviso in aree: ognuna va considerata contabilmente come se fosse un singolo studio, generando tanti conti economici quante sono le aree dello studio. Le aree di attività, o aree strategiche di affari (asa), sono dei sottoinsiemi dello studio coincidenti con business specifici. Per un commercialista le aree di studio potrebbero essere la contabilità, i bilanci, le dichiarazioni dei redditi, gli adempimenti fiscali, la consulenza, il contenzioso fiscale, i collegi sindacali e le revisioni contabili; per un consulente di direzione e organizzazione, le aree potrebbero corrispondere ai diversi progetti, collaborazioni, all’attività di docenza o alla consulenza continuativa con i clienti fidelizzati.

Per costruire un conto economico per ogni area di attività (asa) dello studio si parte dalla componente dei compensi. I compensi possono essere rilevati contabilmente in modo separato, per ogni asa.

Il secondo passo consiste nell’imputare i costi a ogni asa. I costi possono essere di due tipi: speciali e comuni.
I costi speciali vengono imputati in modo diretto all’asa, perché sostenuti esclusivamente per questa. Per portare qualche esempio: è un costo speciale per l’asa “contabilità” dello studio di un commercialista la retribuzione lorda del personale dedicato esclusivamente alla tenuta della contabilità dei clienti; è un costo speciale per l’asa “progetto A” di uno studio di consulenza di direzione il compenso erogato al collaboratore o al collega che ha contributo allo svolgimento e allo sviluppo del progetto.
I costi comuni, essendo appunto comuni a più asa, vengono imputati a ciascuna di esse in modo mediato. Solitamente sono i costi di struttura (canoni di locazione dello studio, leasing di beni strumentali, ammortamenti), le spese generali (utenze, spese telefoniche, spese di cancelleria, premi di assicurazione relativi allo svolgimento della professione o alla struttura dello studio, spese per la partecipazione a corsi e convegni e per la formazione) e altri costi come la retribuzione del personale o dei collaborati che dedicano il loro lavoro a più asa.
I costi comuni vengono imputati alle diverse aree di attività dello studio attraverso i criteri di riparto che la dottrina economica ci ha insegnato: criteri tecnici e criteri legati ai risultati. La dottrina ribadisce in più occasioni che non vi è un criterio migliore di altri per ripartire i costi comuni, ma la scelta dipende dalle peculiarità dell’attività economica dello studio, dai risultati che si vogliono ottenere con l’elaborazione e l’analisi, e soprattutto dalle informazioni di cui si dispone.
Un esempio di criterio tecnico (di ribaltamento dei costi comuni alle diverse asa) è la ripartizione proporzionale dei costi per asa in base alle ore di lavoro rilevate per ciascuna – se di questi dati lo studio è in possesso perché tiene un time sheet in modo sistematico.

Come si legge il risultato economico?
Il risultato economico (reddito o perdita) di ogni asa sarà pari alla differenza tra i compensi dell’asa e i suoi costi: quelli speciali e la quota imputata di quelli comuni.
I risultati reddituali di ogni asa – sommati algebricamente – formano il reddito complessivo annuo conseguito dallo studio professionale.
Quest’analisi è importante perché indica quali aree partecipano maggiormente alla redditività complessiva dello studio e quali sono invece a basso valore aggiunto o in perdita. Avendo a disposizione queste informazioni supplementari, il professionista potrà decidere di attribuire maggiori risorse e tempo alle aree con utilità marginali maggiori e ridimensionare o addirittura abbandonare le asa a bassa redditività, se considerate non strategiche.

Pordenone, 3 novembre 2016                                                                                                Alessia Salmaso

Relazione di Alessia Salmaso al workshop Apco "Strumenti per la gestione dell'attività professionale", tenutosi a Udine il 3 ottobre 2016.
www.studiosalmaso.com