Piccole Imprese e Consulenti di Management
- da Carlo Baldassi
Sono i fattori della moderna complessità.
Aspetti della complessità
Complesso non è complicato.
Complicata può essere una situazione nuova e impegnativa per il più alto numero di variabili, ma per affrontare la quale possediamo già le competenze di base e l’esperienza.
Ad es. un architetto che abbia sempre progettato case singole, potrebbe incontrare qualche nuova complicanza operativa quando debba progettare un piccolo condominio (volumi, impianti, fornitori diversi) ma poi la sua professionalità gli permetterà di farcela.
Complessa è invece una situazione in cui molte variabili interagiscono tra loro e in modo spesso imprevedibile: questa situazione reclama nuove capacità, reclama creatività ed una nuova dote - la resilienza - cioè saper resistere agli stress da incertezza e - ove possibile - trasformarli in opportunità.
Ad es. affrontare i mercati internazionali più lontani e meno conosciuti, impone alle piccole imprese del made in Italy di adeguare –contemporaneamente- le originarie capacità di business intelligence, l’organizzazione di marketing, la contrattualistica e la credit policy, le partnership coi fornitori, le operations interne e la logistica, il tutto affrontando un contesto competitivo turbolento e incerto.
Di fatto oggi siamo immersi in un contesto di complessità (Chaotics dice Kotler) in cui molti paradigmi competitivi sono profondamente mutati e sui quali la Grande Crisi 2008/2014 influisce ulteriormente.
Le aziende sono organizzazioni speciali, dove l’efficacia e l’efficienza sono indispensabili per competere con successo, per soddisfare i mercati, garantire reddito a collaboratori ed azionisti, poter promuovere nuovi investimenti, sviluppare idee e prodotti in modo socialmente utile ed ecosostenibile.
Parallelamente un’azienda non è solo una ‘macchina’ per generare profitti e redditi (cosa pur fondamentale) ma è anche un contesto interpersonale e culturale, un ambiente che ha regole sue ma che è profondamente aperto alla società in cui è immerso e costantemente influenzato dai cambiamenti esterni. Di conseguenza, come altre organizzazioni umane, anche le aziende cambiano costantemente, affrontano crisi nel corso di ciascuna delle quali incontrano problemi nuovi e manifestano specifiche necessità.
Sono i temi del Change Management, cioè dell’insieme di discipline e competenze che i consulenti di direzione utilizzano per affrontare in modo sistemico le nuove modalità competitive e i nuovi processi organizzativi oggi necessari.
In questo bagaglio professionale ci sono gli studi personali e la nostra sensibilità, la cultura che viene dalle grandi società internazionali della consulenza, i sistemi qualità e il monitoraggio degli output (ISO, EFQM, Value Analysis & Lean, indicatori di performance ecc), le relazioni nella nostra business community.
Complessità e contraddizioni delle organizzazioni
Tuttavia quando parliamo di sistemi aziendali e di flussi operativi, ricordiamo che le organizzazioni umane possono essere lette con più ottiche e quindi va evitato ogni unilateralismo involontario che anche i consulenti possono portarsi dietro. I grandi maestri del management (P. Drucker, P.Kotler, R.Moss Kanter ecc) ce lo insegnano da molto tempo e i loro ‘fondamentali’ sono utili anche in tempi di enterprise 2.0.
Uno studioso di management - Gareth Morgan- vent’anni fa proponeva magistralmente alcune metafore delle organizzazioni (un’impresa, un’associazione non profit, un ospedale o un’università).
Così un’organizzazione- sottolineava Morgan- potrebbe essere letta secondo la metafora della macchina burocratica oppure in quanto sistema aperto. Potrebbe essere letta come un cervello collettivo che processa informazioni o come un sistema culturale specifico. Un’organizzazione inoltre potrebbe essere letta come un sistema politico e come strumento di potere. Infine potrebbe essere letta come una forma di ‘prigione psichica’ ma anche come flusso e divenire continuo.
E ognuna di queste metafore può cogliere una parte di verità.
‘Se si vuole affrontare l’analisi organizzativa in maniera realistica-ricordava Morgan- bisogna partire dal concetto che le organizzazioni rappresentano più cose nello stesso momento. Una macchina organizzativa progettata per realizzare degli obiettivi ben determinati può, simultaneamente, essere tutte le cose seguenti: una specie organizzativa capace di sopravvivere in certi ambienti ma non in altri; un sistema di elaborazione di informazioni in grado di apprendere certe cose ma non altre; un ambiente culturale caratterizzato da valori, credenze e pratiche sociali precise...un sistema politico in cui gli individui interagiscono per promuovere i propri interessi…
(L’organizzazione è) un’arena in cui si sviluppa tutta una serie di conflitti subconsci o ideologici; un prodotto o una manifestazione di un più profondo processo di cambiamento sociale; uno strumento usato da un gruppo di individui per sfruttare e dominare altri individui ecc.
Il fatto che i manager e gli studiosi delle organizzazioni spesso sono tentati di trascurare questa complessità, ipotizzando che le organizzazioni sono, in ultima analisi, dei fenomeni razionali da comprendere in rapporto ai loro obiettivi ed ai loro scopi, rappresenta un ostacolo che impedisce frequentemente di capire la vera natura delle organizzazioni.
Se si vuole veramente capire un’organizzazione, conviene partire dalla premessa che le organizzazioni sono fenomeni complessi, ambigui e paradossali’. (da Images-le metafore dell’organizzazione).
Se a tutto ciò aggiungiamo l’accelerazione provocata dalle nuove tecnologie (dal web alla trasversalità delle innovazioni), il modificarsi delle filiere del valore (globalizzazione e multilocalizzazioni delle imprese) e le nuove soggettività e modalità del lavoro (leadership diffusa e coworking), si comprende ancora meglio l’importanza di un approccio scientifico e flessibile al cambiamento organizzativo, dove la consulenza di management può essere di notevole aiuto.
Il ruolo della consulenza e i cambiamenti in atto
Nel proporsi quale supporto concreto al cambiamento delle e nelle organizzazioni, il consulente di direzione deve essere un pò studioso, un po’ manager e un pò…medico di famiglia.
Potremmo ricordare i classici tre modelli di E.Schein, che si completano nella consulenza di processo, cioè nella capacità di ‘aiutare le aziende ad aiutarsi’.
Parallelamente la professione di consulente di direzione, cioè di esperto che si offre per affiancare temporaneamente il management in processi innovativi, deve affrontare oggi nuovi fattori che stanno modificando il rapporto con i committenti generando – come per altre professioni - una probabile riduzione tendenziale dell’intermediazione professionale ‘classica’, questo almeno per studi e piccole società ‘di territorio’.
Alcuni nuovi fattori ‘riduttivi’ si possono vedere considerando ad es. la diffusione delle tecnologie ICT e del web che riduce oggettivamente alcuni ambiti prima quasi esclusivi della consulenza (budgeting, ricerche di mercato, in parte la formazione ecc), l’arrivo dei giovani manager e degli stessi imprenditori junior che (fortunatamente) portano nuove sensibilità e competenze, le modificazioni organizzative delle aziende (networking e multilocalizzazioni), le crescenti proiezioni delle Università sui territori, lo stesso evolversi della missione delle associazioni imprenditoriali che offrono nuovi servizi ecc.
E last but not least, gli effetti della crisi scoppiata nel 2008 che –oltre al calo degli investimenti verso gli intangibles - sta incidendo fortemente sui bilanci pubblici e dunque sulle stesse forme di supporto e incentivazione verso l’economia.
In merito ai cambiamenti a livello internazionale si veda ad es. il recente dibattito sul futuro della consulenza comparso su Harvard Business Review nel 2013. (1)
Insomma il consulente (o il team consulenziale) continua a vendere ‘esperienze e metodo’ (che restano fondamentali soprattutto in un contesto così mutevole) ma oggi la sua professionalità deve sapersi evolvere, deve essere sempre più concreta e - ove possibile - misurabile con parametri condivisi con i clienti.
Consulenti e piccole imprese
Ma verso le piccole e medie imprese la consulenza di management affronta anche specificità ulteriori: le risorse sono più limitate e i tempi sono più brevi, l’aspetto relazionale e l’elemento fiduciario interpersonale risultano ancora più importanti.
Non occorrerà peraltro ricordare ancora l’importanza delle pmi in un paese come l’Italia a ‘capitalismo molecolare’ dove il 95% delle imprese ha meno di dieci dipendenti e dove…c’è molto da fare anche per noi.
Il consulente di direzione deve anzitutto considerare che nelle pmi si confronta con l’imprenditore shumpeteriano che eccelle nel protagonismo creativo, che vive tutti i giorni le problematiche operative e i processi aziendali, che rischia e decide e che rappresenta l’anima e i valori dell’impresa.
Accanto a sé l’imprenditore ha ‘gente del mestiere’ verso cui certe asimmetrie informative - tipiche di altre professioni intellettuali- sono per i consulenti spesso più limitate.
Quando opera il consulente deve sentirsi parte dell’azienda-cliente ma mantenendo etica e indipendenza di giudizio, deve interagire contemporaneamente con diversi interlocutori interni e spesso anche con stakeholder esterni (istituti di credito, istituzioni, associazioni imprenditoriali ecc).
Il consulente di direzione è una sorta di ‘intruso invitato’ (H.Baum) che deve con-vivere con la cultura, le esigenze e i ritmi specifici di ciascuna organizzazione (ogni cliente è unico). Egli deve fornire competenze specialistiche (di metodo e di merito) ma anche mantenere una visione complessiva, a volte interfacciandosi con altri specialisti esterni (commercialista, giurista d’impresa, operatori della comunicazione, designer industriali, tecnologi ecc) e più in generale con le filiere del valore in cui è inserita l’azienda-cliente.
Il consulente deve saper apportare contributi utili da subito ma anche stimolare il ‘cambiamento possibile’,
deve porre le ‘domande giuste’ prima che fornire le ‘risposte giuste’, deve accompagnare l’organizzazione nei suoi processi innovativi e nelle sue decisioni, facendo crescere il suo capitale intellettuale - il vero asset competitivo - cioè il suo capitale umano, organizzativo e relazionale.
E infine il suo intervento deve lasciare un’azienda più forte e più consapevole di prima.
Letteratura internazionale ed esperienze forniscono ai consulenti varie chiavi di lettura e di intervento: leadership e organizzazione, knowledge & project management, budgeting e pianificazione, tecniche di operations, marketing & sales, indicatori di performance, formazione, coaching e tutoring ecc.
Occorre parallelamente che i consulenti di management considerino i progetti di intervento con una visione interattiva e multidisciplinare, capace di difendere e incrementare la capacità competitiva dell’impresa e la sua capacità di garantire benessere sia all’interno che all’esterno.
Ma nelle piccole imprese –manifatturiere o dei servizi- occorre anche considerare che siamo in uno specifico contesto di persone che lavorano fianco a fianco e spesso hanno relazioni anche fuori dall’azienda, per cui i sociogrammi tendono a prevalere sugli organigrammi; dove ogni processo di cambiamento deve essere realistico e deve garantire nel contempo l’aderenza alle (pressanti) esigenze quotidiane.
Occorre anzitutto considerare che l’imprenditore delle pmi ‘ti pesa subito’ e vuole incontrare professionisti che ‘parlino la sua lingua’, che possano apportare contributi utili senza presunzione né superficialità: il consulente di management deve anzitutto farsi accettare nei giusti modi e nei giusti tempi, governando anche le sue inevitabili incertezze umane.
La capacità - culturali, semantiche, organizzative - di interagire positivamente con le caratteristiche delle pmi restano un vantaggio competitivo per le piccole società di consulenza ‘di territorio’ rispetto ai grandi majors, ma pongono anche sfide per noi ‘piccoli’ di fronte a nuove esigenze (es. nell’offerta multidisciplinare o per accompagnare le pmi nell’internazionalizzazione).
Ricordiamo –in ogni caso- che molte pmi italiane (a differenza di altri paesi avanzati) sono ancora piuttosto lontane dalla consulenza di direzione e vanno aiutate a comprenderne i vantaggi reali, diretti e indiretti.
Per questo quando incontro un nuovo interlocutore, tendo a fargli ‘toccare’ subito alcuni materiali e strumenti adottati dal nostro studio, da cui possono discendere risultati di un nuovo metodo di lavoro: ad es. illustrando casi simili affrontati o redigendo assieme una scheda di autovalutazione competitiva, che aiuti l’interlocutore stesso a focalizzarsi meglio sulle priorità di un eventuale progetto.
Nello sviluppo del progetto e nell’intervento occorre quindi considerare le specificità dell’organizzazione, i suoi obiettivi competitivi e la sua cultura diffusa, conoscerne i flussi relazionali, individuare rapidamente gli alleati del progetto stabilito con la direzione e prevenire/governare le possibili resistenze al cambiamento. Insomma ‘aiutarli a cambiare facendo assieme le cose utili’.
A maggior ragione nelle pmi familiari, dove le dinamiche impresa/famiglia assumono ulteriori delicate valenze e dove ..qualche capello bianco aiuta molto.
Occorre perciò una comunicazione efficace e circolare tra le persone coinvolte nel progetto, dobbiamo saperle coinvolgere attivamente in un processo di cui il team fissa obiettivi, risorse e milestones.
Occorre saper valorizzare le competenze esistenti e risvegliare energie latenti (awakening), necessita saper coordinare flessibilmente le operazioni senza sottrarre all’imprenditore la ‘plancia di comando’.
Soprattutto nelle pmi il consulente di direzione deve dimostrare capacità di teaching on the job (insegnare facendo), di caretaking (prendersi cura), di mentoring (essere d’esempio) e di sponsoring (sostenere il progetto anche con testimoni interni ed esterni).
E naturalmente il consulente di direzione deve garantire un costante reporting alla direzione, evidenziando via via gli output delle attività o suggerendo eventuali cambiamenti in itinere.
Infine il consulente di direzione impara ogni giorno e filtra e ‘mixa’ le novità utili ai singoli clienti, fornendo alle loro attività stimoli innovativi e benchmarking su case study di successo.
Un mestiere complesso, sfidante e bellissimo, che si può svolgere solo partendo dalla convinzione che le persone sono il fattore competitivo più importante.
Carlo Baldassi, CMC - Coordinatore APCO Delegazione Friuli Venezia Giulia
Note:
1) di E.Schein v. La consulenza di processo- Cortina editore 2001. V. anche C.Antonelli (a cura di): Le professioni per l’impresa- FrancoAngeli 2009. Il dibattito sulla consulenza di management ‘oltre la crisi’ è su HBR n.10/2013 (La consulenza sull’orlo di una radicale trasformazione) dove compare anche l’abituale newsletter Mèta a cura di APCO.