VARI TIPI di Consulenza Manageriale

da Franco Guazzoni
Vorrei proporre oggi alla vostra attenzione un argomento che prende lo spunto dall’articolo “La consulenza sull’orlo di una radicale trasformazione”, di Clayton M. Christensen, Dina Wang e Derek von Bever, pubblicato nel numero di ottobre di Harvard Business Review. Il punto centrale di questo stimolante articolo riguarda la “decostruzione” e la “disaggregazione” che si starebbe (sta?) verificando nell’industria del Management Consulting, sotto le spinte della “democratizzazione” di molti saperi, di una nuova e più precisa coscienza che i clienti hanno acquisito dei loro reali bisogni, e certamente anche con il contributo delle nuove tecnologie, nonché dell’esigenza di conquistarsi flussi di cassa più robusti e costanti nel tempo, per rendere meno aleatoria la sopravvivenza nel tempo di chi offre servizi consulenziali. Tutte queste forze starebbero portando a rompere schemi di offerta validi in passato, lasciando spazio ad interventi più specifici e mirati, e ad un’azione di raccordo e di sintesi prevalentemente a carico del cliente, fattosi negli anni più consapevole ed abile, anche per la presenza al suo interno di ex-consulenti passati nel frattempo dalla sua parte  .

Tre modelli di Management Consulting si starebbero dunque affermando, secondo gli Autori dell’articolo citato:

·         il “negozio di soluzioni”, strutturato per diagnosi e soluzioni ad hoc, per un range praticamente infinito di casistiche

·         la “consulenza di processo a valore aggiunto”, valida per un numero limitato di situazioni piuttosto standard

·         la facilitazione di reti, atte a consentire e a favorire lo scambio di prodotti e servizi.

 
In questo scenario, condivisibile o meno, colpisce l’affermazione che i grandi marchi della consulenza starebbero avvicinandosi alle medie e piccole realtà, un tempo del tutto trascurate, in quanto considerate “cattivi” fruitori di consulenza. Questa affermazione  riguarda più da vicino noi associati di APCO, che siamo probabilmente meno colpiti dai grandi sommovimenti delineati dagli Autori dell’articolo citato, ma che certamente ci troviamo ad operare in un mercato più spezzettato, confuso e complesso da interpretare e da servire.

Forse ci possono allora tornare utili le considerazioni del Professor Maister, esposte in uno dei suoi più classici e citati articoli, “The Anatomy of a Consulting Firm”. Diceva Maister che i problemi dei clienti possono essere raggruppati lungo due assi, e riportati dunque a quattro grandi categorie.

Lungo l’asse delle ascisse si collocano le soluzioni: che possono essere frutto dell’applicazione di processi standardizzati (e allora ciò che fa la differenza è la capacità di esecuzione, abbinata a prezzi contenuti), ovvero con processi ad hoc (e la differenza in questi casi è costituita dalla capacità di effettuare diagnosi corrette, accurate e rapide).

Lungo l’altro asse, delle ordinate, si pone il tipo e l’intensità della relazione col cliente: in certi casi la tipologia dei problemi e la psicologia dei clienti richiede un’elevata interazione con il personale del cliente stesso, mentre in altri si richiede un’interazione pressoché nulla.
consulenza manageriale

Dall’incrocio di queste diverse esigenze oggettive si delineano quattro modelli di erogazione dei servizi di consulenza, assai diversi tra loro, che richiedono competenze e sistemi di leverage e di generazione di valore aggiunto pure molto diversi.

Da un lato abbiamo il modello “farmacista” (processi standardizzati e industrializzati al massimo, erogati presso  il consulente, stante il fatto che l’interazione richiesta dal cliente è minima). Siamo nel caso dei servizi in outsourcing, o anche dell’erogazione di servizi di analisi periodiche o di report specifici, per esempio sull’andamento di un mercato o di un determinato settore).

Dall’altro abbiamo il modello “infermiere” (processi sempre standardizzati e industrializzati, ma da erogare presso  il cliente, che richiede di essere rassicurato e di apprendere per crescere). Qui i processi standardizzati e predefiniti richiedono un grado di adattamento più o meno spinto, per rispettare le esigenze soggettive del cliente. Siamo di fronte a clienti che vogliono capire, che vogliono crescere, che desiderano arrivare a decisioni maturate attraverso il confronto e il convincimento. Oltre alle capacità di industrializzare i processi, si richiedono in questo caso doti di convincimento e di sviluppo empatico della relazione. Ho la sensazione che molti degli interventi dei Soci APCO ricadano in questa categoria.

C’è poi il terzo modello, che è quello dello “psicoterapista” o del “medico di famiglia” (nessuna definizione aprioristica della soluzione, grande capacità di ascolto e di adattamento delle possibili soluzioni alle esigenze, e anche agli umori, del cliente). L’arma vincente è in queste situazioni più che mai la fiducia, che il consulente conquisterà col tempo, con diagnosi illuminanti e con prognosi decisive. Sarà spesso il lavoro di un singolo consulente, che dovrà però stare attento a resistere alla tentazione di fare il “tuttologo”, arrivando eventualmente, col passare del tempo e con il consolidarsi della fiducia, a introdurre altri specialisti, secondo necessità. Questi ultimi, dal canto loro, dovranno a loro volta stare attenti a non alterare il clima interno faticosamente creatosi all’interno dell’azienda cliente.

L’ultimo modello è quello che Maister chiama del “neuro-chirurgo” (enfasi sulla diagnosi, e poi sull’intervento, con una buona dose di creatività, sostanzialmente senza partecipazione del cliente, che si affida interamente al Professionista, perché lo salvi dalla situazione gravemente compromessa in cui si è venuto a trovare, in qualche caso anche non per colpa sua. Pronto a pagare parcelle alte, in cambio della ritrovata salute).

Non so se vi siete ritrovati in queste quattro tipologie. Può essere utile capire che tipo di interventi uno è principalmente attrezzato a svolgere (per sue doti e capacità professionali e personali, ovvero, ma è praticamente lo stesso, perché quello domandano i suoi clienti).

Ho sempre trovato questo approccio molto utile per ragionare sul modello di erogazione dei servizi di consulenza che andiamo a proporre, tenendo conto che i quattro approcci postulano un livello di leverage (cioè di delega di parte del lavoro a risorse meno skillate e meno costose) molto diversi. E che operare bene in una situazione non dà affatto garanzia di saper operare altrettanto bene (per i clienti) e altrettanto profittevolmente (per il Consulente) in un’altra.

Cosa ne pensate? In quale dei quattro modelli di approccio vi riconoscete? E quali trend vedete nell’evoluzione del mercato?

Franco Guazzoni, CMC

Coordinatore Commissione Soci