Giovani consulenti: avete fatto il business case?
- da Marco Beltrami
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Non è cosa di tutti i giorni ma capita; mi ricordo che agli inizi della carriera la mia stempiatura e la scelta di avere la barba mi hanno agevolato.
Battute a parte, è interessante analizzare come i giovani vedono, si approcciano e praticano la consulenza. Nel nostro business c’è chi sceglie questa professione subito, al termine degli studi, e c’è chi invece arriva dopo percorsi professionali diversi ed articolati.
Paradossalmente per un giovane molto preparato ( con ad esempio con master ed esperienze all’estero) la relazione con il cliente può avere particolari difficoltà, dovute proprio a quella diffidenza per la “giovane età” di cui parlavo in apertura: il cliente non consente “aprioristicamente” al giovane consulente di mostrare la propria competenza. Vero è che a volte è il giovane iperspecializzato che snobba il cliente o non contestualizza la situazione.
I giovani nella consulenza sono però fondamentali per diverse ragioni:
- consentono modelli di delivery più bilanciati sui costi, consentendo di creare tema di lavoro con tariffe medie più contenute;
- apportano visioni nuove, entusiasmo, energia e competenze mirate. Pensiamo ad esempio a tutti progetti in cui ci sono richiami al web 2.0 e che ai giovani risultano essere decisamente più naturali rispetto a chi ha 50-60 anni.
Certo non sempre i giovani si avvicinano alla consulenza con le idee chiare. Ad esempio, molti giovani hanno interesse per questa carriera mossi solo dall’aspettative di entrate consistenti. Oppure colgono solo i lati positivi del lavoro: viaggi, alberghi, clienti sempre diversi,...
La realtà del fare il consulente è invece molto diversa: è una professione bellissima, affascinante e stimolante, ma dura fisicamente e psicologicamente.
Cominciamo dall’aspetto economico: non si può negare che si tratti di una professione che porta, in media, a retribuzioni interessanti, ma certamente con grande fatica, impegno e sacrificio ed in ogni caso in linea con altre attività intellettuali. Per un giovane i trend di crescita retributiva iniziali sono solitamente buoni, ma l’impegno richiesto è quasi “assoluto”.
Qui arriviamo a uno degli aspetti spesso sottovalutati: a volte i giovani vedono il lavoro come la prosecuzione dell’attività universitaria. Nulla di più sbagliato: cambiano i ritmi, cambiano le programmazioni, cambiano i decisori.
La vita del consulente è fatta di viaggi, spostamenti raramente pianificabili, presentazioni da finire nella notte: per chi è abituato alla partita di calcetto del lunedì, al Cineforum del mercoledì, all’aperitivo con gli amici del giovedì , crolla il mondo. L’intero sistema delle relazioni personali va ripensato. Io spesso sollecito i giovani che vogliono entrare in consulenza a fare il loro Business Case della vita ed a valutare cosa a loro interessa veramente
Ultimo aspetto spesso sottovalutato è l’aggiornamento professionale continuo. Arrivando dal mondo universitario il giovane pensa di aver finalmente terminato gli studi: scopre invece che fare il consulente di management vuole dire accettare l’idea che la propria formazione non termina mai.
Il consulente deve essere aggiornato sull’evoluzione delle discipline manageriali, deve conoscere i trend e le dinamiche di mercato, deve conoscere l’evoluzione dei propri clienti, e tutto questo richiede anche la capacità di modificare nel tempo i propri comportamenti. Un processo continuo, impegnativo, che, a mio parere, caratterizza fortemente la nostra professione e che deve essere rapidamente interiorizzato dal giovane consulente.
Morale della questione: la consulenza è una grande opportunità per i giovani, per chi è entusiasta, ha curiosità, voglia di impegnarsi e sacrificarsi, ma deve essere una scelta informata, consapevole delle cose buone e di quelle meno. Anche su questi aspetti APCO, l’associazione professionale dei consulenti di management, offre un contributo, come luogo di scambio ed approfondimento di esperienze.
Marco Beltrami, CMC - Presidente APCO